Origini della Festa

Per la prima volta in ITALIA, nel 1926, si è celebrata ad Impruneta la festa dell’Uva. Sospesa durante la guerra l’usanza fu ripresa nel 1950 e da allora si è sviluppata sempre più facendo affluire all’Impruneta turisti italiani e stranieri. La sfilata dei carri allegorici costruiti nei quattro rioni del paese: Fornaci, Pallò, S. Antonio e Sante Marie rappresenta l’aspetto più importante e conclusivo della festa. Grande rivalità esiste nei rioni nei giorni che precedono e che seguono la festa. Quel giorno e nei giorni precedenti si svolgono varie iniziative e degustazione di uva e vino; vengono esposti anche prodotti dell’artigianato locale. La Festa dell’Uva si svolge di solito l’ultima domenica di Settembre.

L’ equazione Festa dell’ Uva come Impruneta ricalca forse un luogo comune e può essere letta anche in senso contrario, ma rende l’ idea di un paese che di quella festa rivive, ogni anno, gli aspetti più suggestivi di una storia che è meno antica della sua terra e che tuttavia, di quella è complemento essenziale, non fuorviante né estraneo alla sua natura ed alle caratteristiche di un popolo che, per primo, ha inventato il modo ditrasformare il lavoro, quello dei campi, in spettacolo di massa. Che in quanto tale richiederebbe, in virtù della sua atipica rappresentazione, un’ analisi storica dettagliata dalla sua nascita fino ai tempi nostri. Probabilmente sbagliando e rischiando di apparire ripetitivi e noiosi, fors’ anche poco attendibili. Meglio dunque “parlare per e con le immagini” che da sole riescono a scandire i tempi della vita, i costumi, il colore ed il sapore della nostra terra, la gioia di tanti volti giovanili che riecaono a trasformare in sorriso anche gli anni che passano, la densità delle passioni e delle delusioni, meglio di qualsiasi parola. E tuttavia, nulla nasce per caso e nulla vive senza alcun presupposto che ne rivendichi la legittimità. Sulle concause della quale è doveroso soffermarsi. Le diverse “anime” di Impruneta concorrono a legittimare supposizioni suggestive circa la vocazione festaiola dell’ antichissimo Borgo, prima inserito sulla direttrice di quella che fu la mitica via Cassia Imperiale e poi abbandonato dai grandi traffici dell’epoca a vantaggio di nuovi e più veloci percorsi, destinati al flusso su Firenze attraverso la porta San Niccolò. Qualunque altro paese avrebbe subìto da questo isolamento contraccolpi negativi al proprio sviluppo e alla propria economia.Ma non il nostro, che seppure inserito nel retaggio di quella civiltà contadina tipica del basso e alto medioevo, già viveva di luce riflessa per la presenza nel suo Santuario della Sacra Tavolozza bizantineggiante attribuita all’ evangelista Luca. Questa rappresentava di per sé un polo di attrazione spirituale di cui nessuno, al momento poteva prevederne gli sviluppi. Che tuttavia si tradussero in seguito in un ritmo espansivo notevole ed in una propensione vocativa, di carattere popolare, ancorchè festaiola del paese. Non interessa in questa sede tratteggiare più del dovuto gli aspetti storico-religiosi che caratterizzarono i rapporti di Impruneta con la Firenze medicea ma ci preme sottolineare che furono proprio queste condizioni di affollamento del paese da parte di enormi folle di pellegrini a determinare una scelta urbanistica orientata verso la ricerca di spazi adeguati. E’ di quel tempo e di quel periodo infatti l’ applicazione progettuale di quelle “borgare” facenti capo alla piazza principale, ovvero la configurazione in “Rioni” dell’ agglomerato urbano. Che non sono quindi un “invenzione” per rendere più competitiva la Festa ma un preciso dato storico di rilevanza secolare. La vocazione contradaiola del paese è dunque antica quasi quanto il paese stesso, anche se all’ inizio non se ne tenne conto. Le ragioni di ciò stanno nel fatto che la Festa dell’ Uva nacque in virtù di un matrimonio anomalo fra l’ “aristocrazia” politica del momento e quella latifondista imposta dai ricchi cittadini da secoli insediati per generazioni sul territorio, a suo tempo instauratori non sempre con mezzi corretti, del sistema mezzadrile caratteristico delle nostre campagne fin dal XIII-XIV secolo e rimasto pressochè inalterato fino agli anni ’50.

Le motivazioni di cui sopra valgono per quanto concerne la prima edizione della Festa dell’ Uva esplosa come manifestazione destinata al successo nel 1926 e per quelle immediatamente successive, alle quali parteciparono non i Rioni ma le fattorie site ed operanti sul territorio comunale. Solo qualche anno più tardi, il retaggio vocativo del paese si chiuse con il riconoscimento dell’ ultima “anima” dell’ antico Borgo: quella artigianale che ebbe per capostipiti i “fornacini” presenti in loco già nel primo medioevo. Fu così che la Festa dell’ Uva entrò d’impeto nella storia del tempo e del costume tradizionale locale. E lo fece consegnandosi totalmente come’ era giusta e naturale, ai Rioni e ai suoi abitanti.Questo avvenne, per la prima volta, nel 1932, due anni dopo che la comunità artigiana locale aveva costruito ed innalzato sul pozzo della piazza un grandissimo e splendido tino, opera stupenda e di forte impatto. Si può dire che la vera esplosione creativa della Festa, prima ancora che per merito delle contrade, avvenne di fatto proprio in virtù di quella nobile rivendicazione, artigianale basata sui solidi presupposti di intrinseca capacità e sensibilità artistiche. Al tino seguì infatti, nel 1931, quel fiasco che è rimasto simbolo della Festa sino ai tempi nostri.. Perfetto nelle sue dimensioni e con una capacità di 250 barili di vino, si pose quasi in contraltare al campanile della Chiesa. Altre successive “perle” artigianali, lo strettoio alto bel m. 11,70; la botte gigantesca della capacità di 3000 litri; quindi lo splendido loggiato trecentesco del 1934.